Il 14 maggio è uscito per la collana bassorilievo Stella mattutina di Ada Negri, romanzo sospeso fra l’autobiografia e il racconto di un’epoca.
La prefazione – di cui riportiamo qui un estratto – è di Margherita Macrì, editor e insegnante.
Ada Negri è stata un’anomalia del panorama letterario italiano: prima poetessa proletaria, poi accolta nel canone ufficiale, celebrata e amata in vita, infine ridimensionata e quasi dimenticata. Eppure, tratti della sua scrittura, pieni di forza lirica e tensione sociale, conservano un’intensità che merita di essere riscoperta. Stella mattutina è più di un’opera autobiografica, come invece appare a una prima lettura. È un lavoro in bilico tra memoria e letteratura, tra esperienza individuale e voce collettiva. Il ritratto di un’infanzia segnata dalla povertà e dall’ostinazione, dalla distanza sociale e dal desiderio di riscatto, che ha il respiro del romanzo di formazione e la potenza di un’accorata denuncia sociale.
Negri nasce a Lodi sul finire dell’Ottocento, figlia di un vetturino, che muore quando lei ha un anno, e di una tessitrice. Cresce nella portineria del palazzo Cingia-Barni, dove la nonna lavora come custode, dopo essere stata governante della soprano Giuditta Grisi, moglie del conte Barni. In questo spazio angusto, tra le due stanze della portineria e il cortile del palazzo, la bambina che fu Ada Negri, Dinin, trascorre il suo tempo osservando il mondo con occhi avidi e intelligenti, maturando precocemente la coscienza della differenza tra classi e il conseguente risentimento per quei nobili che deve servire.
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È proprio questa tensione, questa consapevolezza precoce e bruciante, che fa di Stella mattutina qualcosa di più di una semplice narrazione autobiografica. L’infanzia diventa un territorio mitico e insieme ferocemente reale, che si lascia attraversare dalla luce della letteratura, la scrittura un atto di restituzione e riscatto. «Io vedo – nel tempo – una bambina. Scarna, diritta, agile», scrive Negri nell’incipit, l’unico momento in cui usa la prima persona. Subito dopo, la sua voce adulta si ritrae, lasciando il posto a una terza persona che le consente uno sguardo malinconico e disincantato su quegli anni. Così, fin da subito Negri stringe un patto con i lettori, che sono chiamati ad accettare la coesistenza della scrittrice e della bambina, e un patto con se stessa: lasciare alla piccola Dinin la presa diretta sul passato, ma gestirne il timone, montarlo e restituircelo con tenero distacco.
Per tutto il romanzo, anche se la bambina di cui Negri scrive le somiglia profondamente, Dinin sembra sfuggire a una definizione netta: è evocata attraverso gesti e movimenti, ma il suo volto resta sfumato, come se la scrittura volesse preservarne l’essenza più che la fisionomia. E la sua essenza è il desiderio di affrancarsi dalla subalternità.
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La portineria è un confine: tra il dentro e il fuori, tra l’umile e il privilegiato, tra chi serve e chi comanda. Ma a Dinin non basta il ruolo che il mondo sembra averle assegnato. Nel giardino della casa padronale, tra la bellezza dei fiori e la voce silenziosa degli alberi, trova una libertà interiore che la accompagna per tutta la vita. È qui che matura il suo amore per la parola poetica. Così, Negri inserisce nel racconto momenti di alto lirismo, trasformando la narrazione in un vero e proprio poema in prosa: la natura non è solo un fondale, ma un interlocutore vivente, e nelle pagine di Stella mattutina, tutto vibra: la neve avvolge il mondo in un silenzio metafisico, i fiori sbocciano con prepotenza, l’infanzia si accende di bagliori improvvisi.
Se la bellezza della natura è una fonte di respiro, la cultura è l’unico vero strumento di emancipazione. Dinin lo capisce presto: i libri diventano il suo rifugio e il suo trampolino.
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Il ritmo franto, la narrazione spesso interrotta per lasciare spazio a ciò che c’è dentro, una frequente elisione delle azioni aprono a uno stile inusuale per quegli anni, e sono come una discesa nel profondo dell’animo di Ada-Dinin, un’esplorazione che continua a parlarci perché ci riguarda. È la storia di ogni donna che cerca una via d’uscita dai limiti del mondo in cui è nata. E la prosa di Negri, tesa e luminosa, ci restituisce questa battaglia con una freschezza che, oggi più che mai, merita di essere riscoperta.